giovedì 1 maggio 2014

BUONA FESTA DEL NON LAVORO, BUKOWSKI!


Il Console


È vent'anni che ci manca Charles Bukowski, Henry Hank Chinaski, morto il 9 marzo 1994.

E oggi è la 32a festa del non lavoro, al Forte Prenestino, a Milano c'è l'Euromayday per il reddito, il non lavoro e contro il lavoro gratis all'Expo 2015.

Di “quel lavoro che ci fate mendicare” e “ci ruba il tempo e ci saccheggia la vita”.

Quel lavoro che è sempre meno pagato e più insicuro. Fatto di eterni ricatti e giochi al ribasso. Diventato tanto scarso, ci fanno credere, da costringerci al lavoro neo-servile, gratuito: prestazioni senza retribuzioni. Stage fantasmi e contratti di un giorno. Con l'ipocrita ed eterna retorica di governi e sindacati, sempre alla fantomatica ricerca di nuove “riforme del lavoro”: per combattere la disoccupazione e creare nuovi posti di lavoro. 

Mai che si provasse a garantire un reddito per “un'esistenza libera e dignitosa”, al di là dell'impiego e dentro le mille forme di attività, lavoro, produzione, che già riempiono le nostre vite. Disoccupazione attiva, la chiamava qualcuno, già anni fa, seppure in un senso più libertario della gabbia che è diventata oggi.

E allora viene da dire: quanto ci manca, Chinaski!


Che con Factotum, Post Office, Women e i molti racconti e poesie è stata la nostra eretica educazione sentimentale ed esistenziale. Tra fiumi di alcool, corse dei cavalli, donne, sesso, sempre pochi soldi e odio quotidiano della subordinazione al lavoro. Come Luciano Bianciardi, la sua scintillante trilogia e le traduzioni di Henry Miller e John Steinbeck.

Tutte autobiografie letterarie delle mille generazioni di insubordinati ai comandi imposti da chi non ama la vita: lavora, produci, consuma, crepa! Il mantra della miseria, contro le gioie della vita.

Trovavo la vita del tutto priva di interessi; e questo avveniva specialmente quando lavoravo otto o dodici ore al giorno. E la maggior parte degli uomini lavoro otto ore al giorno almeno cinque giorni la settimana. E neanche loro amano la vita. Non c'è ragione per uno che lavora otto ore al giorno di amare la vita, perché è uno sconfitto. Si dorme otto ore, si lavoro otto, si va avanti e indietro, tutte le piccole cose che si hanno da fare. […] Come si può amare la vita se si vive soltanto un'ora e mezzo al giorno e si buttano via tutte le altre ore? E questo è quello che ho fatto per tutta la vita. E non l'ho amato. Credo che chiunque lo ami sia un grande idiota. Non c'è modo di poter amare questo genere di vita.
(C. Bukowski, Quello che importa è grattarmi sotto le ascelle. Fernanda Pivano intervista Charles Bukowski, Sugarco, 1982)

Per un giorno: amiamo la vita, odiamo il lavoro.

Buona Festa del Non lavoro a noi tutti irriducibili insubordinati.

E al caro Chinaski, vecchio compagno...di sbronze.  

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