giovedì 25 febbraio 2016

MDLSX SILVIA CALDERONI/MOTUS: COSA PUO' UN CORPO

Il Console

«Secondo me, le emozioni non possono essere descritte da singole parole».
Così Calliope/Cal protagonista di Middlesex, di Jeffrey Eugenides.

E si rimane letteralmente emozionati e senza parole dinanzi alla splendente visione di MDLSX, fino al 27 febbraio al prezioso Angelo Mai di Roma (Via Terme di Caracalla 55), con Silvia Calderoni, regia Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, drammaturgia Daniela Nicolò e la stessa Silvia Calderoni: una produzione dell'instancabile collettivo teatrale Motus che da oltre vent'anni esalta gli appassionati di teatro di tutte le età. Senza sbagliare mai un colpo.

Divenire permanente
E allora solo poche battute, per non perdere l'occasione di andare all'Angelo Mai nelle prossime serate. Ed immergerci completamente in emozioni, passioni, illuminazioni. Difficili anche da raccontare. Perché bisogna essere lì, vedere e rivedere MDLSX. C'è chi, oltre un secolo fa, assistette a venti repliche della Carmen di Bizet, nella sua personale, folle e irriducibile ricerca dell'oltre-uomo. E a noi piacerebbe assistere altrettante volte, magari con i nostri figli, genitori, sorelle e scolaresche, alla performance al contempo dolce, poetica, furiosa, lirica, ironica e intimista di Silvia Calderoni, anima, corpo, testa, cuore pulsante di questo diario intimo in pubblico che è MDLSX.


La nostre Calliope, nata una prima volta bambina, il nostro Cal, nato una seconda volta maschio adolescente, androgino, ermafrodito, oltre-uomo/donna, in transizione/trasformazione permanente. Un divenire essere umano, troppo oltre l'umano, protagonista di uno dei più bei romanzi che ci sia capitato di leggere negli ultimi decenni, il già ricordato Middlesex di Jeffrey Eugenides, lavoro cristallino, di poetica bellezza, affresco storico e narrazione esistenziale che eguaglia e a tratti supera i migliori lavori dei nostri amati Pynchon, Gaddis, Wallace, De Lillo, Lethem, Ballard, Roth, Franzen, Moody: Autori che in alcuni casi Motus ha già incontrato nei propri lavori. E poi certo nel testo della partitura troviamo Judith Butler, Paul B. Preciado, Donna Haraway, ma sono forse le parti poetiche ad essere quelle più furiosamente politiche.

La propria singolarità in crescita, dentro-contro l'amore/odio di famiglia, scuola, pregiudizi sociali.



Essere bambini

Così si inizia con la proiezione video di una bimba dal caschetto biondo e gli occhi cerulei, penetranti e vispi, che canta C'era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones. È la stessa Silvia Calderoni bimba, in un festival canoro per giovanissime voci, probabilmente ripresa dall'occhio amorevolmente presente dei propri genitori, anche quando sarà portiere di hockey su prato, con una maschera a proteggerla da tutto: i tiri delle avversarie e gli occhi indiscreti.

Un occhio che ritorna spesso nelle proiezioni video, restituendoci la crescita di Silvia, in una proiezione riflessiva con la metamorfosi di Cal/Calliope protagonista di Middlesex. Ed è già di una poesia straziante il rallenty del filmato iniziale, quasi fisso sul volto di Silvia bimba alla fine della sua performance, sguardo al contempo spaurito e deciso, mentre qui all'Angelo Mai inizia quella di Silvia performer, ripresa da una videocamera che sovrappone sullo schermo l'attuale volto e sguardo a quello infantile.

Silvia Calderoni è letteralmente la “maestra di cerimonie” della propria narrazione: oracolo e colonna sonora che batte il tempo di una lenta, inesorabile trasformazione, anche di noi spettatori in gioco con le nostre poche certezze. (Prima parentesi: questa favolosa ricerca della tracklist perfetta ci fa tornare in mente un lato del “fare cinema” di Sofia Coppola, che cominciò con Il giardino delle vergini suicide, trasposizione cinematografica del primo romanzo di Jeffrey Eugenides, nel dare visione alla sua compilation musicale preferita).



Colonna sonora delle nostre vite

Da lì in poi si susseguono circa 20 pezzi musicali, perfettamente cesellati dalla nostra dj, poetessa, performer, quasi fossimo ancora adolescenti irrequieti persi a ballare da soli nella nostra cameretta, o immersi nei meandri di passati rave senza tempo, introspettivi e affollati, colorati e lisergici. In ogni caso sempre a fare i conti con la nostra eterna irresolutezza, che non ha età, evocando la solitaria moltitudine de les enfants terribles di Jean Cocteau (altro Autore caro a Motus).

Si parte con Yeah Yeah Yeahs (si va a memoria, forse Y Control, sarà per il video di potentissime posse di infanti, che ci stava benissimo), per arrivare al Vincent Gallo di Honey Bunny, il Formidable di Stromae, Real Hero di College & Electric Youth, passando per Placebo, Smashing Pumpkins e molti altri. E prima e alla fine l'amore musicale, poetico, lirico di chi è cresciuto a partire dagli anni Ottanta in Europa, il “nostro” più grande gruppo di sempre: The Smiths.

Con un video di Silvia, già adolescente, che insiste, seria, determinata e convinta: “al mio funerale niente preti e mettete gli Smiths!”. E come non provare una commossa, totale, empatia. Perché la nostra formazione è stata, prima di tutto e sopra a tutto, la musica post-1977, per questo il video iniziale con le note di quel ragazzo che come me... anticipa tutto un programma.



La felicità che accompagna il disastro

Poi Silvia/Cal/Calliope è in viaggio, in fuga da famiglia e genitori, alla ricerca della vera se stessa, nuda dinanzi alla vita, con i capelli rasati a zero, come nel video, per essere dinanzi, dentro e al di là dello specchio, luccicante Alice che la norma sociale vuole inaudito, meraviglioso “mostro”, con la voce strozzata in gola. Poi autostoppista, cow-girl del nostro immaginario hollywoodiano e indipendente, anche in parodia, come spesso ci pare torni sotteso e prepotente. (Seconda parentesi: una naturale propensione parodistica ci fa probabilmente stra-vedere una doppia citazione incrociata Hollywood/indie, appunto: Silenzio degli innocenti/Clerks II, ma nel caso avrebbe suonato Goodbye Horses nella colonna sonora!?).

Perché si sorride e ride anche, ma soprattutto ci si commuove e ci si lascia trasportare. Che a poco a poco si trovano le parole per quelle emozioni indicibili: «la felicità che accompagna il disastro. Il disappunto di dormire con la propria fantasia». Anche per quel video finale di Silvia ancora skinhead, in tuta acetata, che balla con il proprio papà, lasciandoci con gli occhi lucidi. Per fare i conti con la propria adolescenza. Perché non è mai troppo tardi per farsi un'infanzia e un'adolescenza felice, come direbbe il Tom Robbins di Natura morta con picchio.

Eppoi arrivano ancora una volta loro, la voce di Moz con The Smiths: Please, Please, Please, Let Me Get What I Want e Silvia che rientra con indosso la maglietta My Girlfriend Is A Marxist per ricevere applausi che potrebbero non finire mai.

Parafrasando un altro “poeta”, che parlava di Nadja: la bellezza, come la rivoluzione, sarà convulsa. O non sarà. Intanto la bellezza.



Amatissima Taz collettiva

Ps: Perché il nostro è un cercare e agire collettivo, comune e condiviso, Motus, Angelo Mai, il Teatro Valle occupato, il post-punk e la new wave, l'Emilia paranoica di CCCP, quella di Pier Vittorio Tondelli, le visioni di Apaz, l'hip hop italico delle origini, le Taz di rave e azioni collettive, la Romagna delle sperimentazioni teatrali attraversano come vene pulsanti di immaginario potente e non riconciliato i nostri La furia dei cervelli e Il quinto stato.

Per la bellezza completa della serata, in questi giorni di repliche all'Angelo Mai è possibile non solo approfittare del bar, prima e dopo, con sonorità in tema, ma anche dei libri in vendita per opera di Tuba libreria, a cominciare dai molti evocati da Motus.


Motherlode / Drodesera 2015: Motus (IT) - MDLSX from Centrale Fies on Vimeo.

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